Santi del 6 Aprile
*Brychan di Brecknock *Caterina Morigi *Eutichio *Filarete di Calabria *Galla di Roma *Guglielmo di Eskill *Guglielmo di San Romano *Ireneo di Sirmio *Michele Rua *Notkero il Balbuziente *Paolo Le Bao Tinh *Pierina Morosini *Pietro da Verona o Pietro Martire *Platonide *Prudenzio di Troyes *Vinebaldo *Zefirino Agostini *Altri Santi del giorno *
*San Brychan di Brecknock - Re di Gwynedd (6 Aprile)
V secolo
Figura assai singolare, nel vasto panorama di santità fiorita presso le corti inglesi del primo millennio cristiano, è costituita da San Brychan di Brecknock, figlio del re Anlach di Garthmadrun, dal quale ereditò poi il trono di Gwynedd. Visse nel V secolo. Da bambino ebbe forse le lentiggini, come ricorda il suo nome. Fu mandato dai genitori in Irlanda e poi in Galles. All’età di quattro anni fu affidato ad un sant’uomo di nome Drichan, sulle rive del fiume Ysgir, e tre anni dopo poteva già considerarsi abbastanza istruito per affrontare il mondo. Il suo maestro, ormai quasi cieco, in seguito ad uno strano episodio predisse un futuro prospero e felice per il giovane Brychan.
Alcuni anni dopo scoppiò la guerra fra il re Anlach e Banadl, re irlandese che usurpava Powys. Si rese necessario inviare il principe Brychan quale ostaggio per difendere le terre occupate, ma egli fu trattato bene alla corte di Irishman e si innamorò pazzamente di Banhadlwedd, figlia del re. Dalla sua irregolare relazione, prima che eglifacesse ritorno a Gathmadrun, nacque il suo figlio primogenito, Canog (Cynog), morto poi martire presso Merthyr-Cynog durante una invasione barbarica approssimativamente nel 492 e venerato come santo al 7 ottobre.
Nel frattempo morì il re Anlach ed i nobili elessero al trono Brychan, il cui regno fu trionfante, come aveva predetto Drichan, tanto che i sudditi in suo onore vollero mutare il nome del regno in Brycheiniog. Fu un sovrano sempre fedele alla Chiesa ed ai suoi insegnamenti. Si sposò per ben tre volte e secondo la tradizione ebbe in tutto ventiquattro figli e figlie venerati tutti come santi. L’iconografia è solita infatti rappresentare San Brychan che con l’ausilio di un grande telo tiene in braccio tutti i suoi bambini. Il secondogenito, San Cledwyn (Clydwyn), fu l’erede al trono.
San Brychan testimoniò ripetutamente la sua pietà, ma non esitò a ricorrere all’uso della forza nelle varie occasioni in cui dovette difendere le sue terre e l’onorabilità della sua famiglia. L’esempio più ecclatante si verificò quando la sua figlia maggiore, Santa Gladys, fu rapita dal suo futoro marito San Gwynllyw, inizialmente noto come brigante e dissoluto. Brychan li inseguirono per notti e giorni, finché fu combattuta una sanguinosa battaglia in cui caddero parecchi uomini.
Intervenne poi provvidenzialmente il celebre re Artù a pacificare i due sovrani gallesi. Ma molte ancora furono le atrocità compiute dal sovrano in difesa del suo regno, finché un giorno preferì abdicare in favore del suddetto figlio Clydwyn, per potersi dedicare alla vita eremitica. Alcuni studiosi sostengono che quest’ultimo periodo della vita del sovrano sia da identificare con quello di un suo presunto figlio, San Nectan.
Brychan morì in età assai avanzata e fu sepolto sull’Ynys Brychan, odierna isola di Lundy.
Il suo nome è presente anche nelle varianti di Brocanus, in latin, e Brecon, in inglese. La sua festa ricorre al 6 aprile.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Brychan di Brecknock, pregate per noi.
*Beata Caterina Morigi di Pallanza (6 Aprile)
Pallanza, 1427 - 6 aprile 1478
Martirologio Romano: Nel monastero di Santa Maria al Sacro Monte sopra Varese, beata Caterina da Pallanza, vergine, che insieme alle sue compagne praticò vita eremitica sotto la regola di sant’Agostino.
Tra i Santi venerati dalla Chiesa milanese ci sono le Beate Caterina di Pallanza e Giuliana di Busto che diedero origine all’esperienza monastica delle romite dell’Ordine di sant’Ambrogio ad Nemus di Santa Maria del Monte sopra Varese, dette comunemente Romite ambrosiane.
Già prima del 1400, da secoli, esisteva un luogo di culto alla Beata Vergine Maria, un santuario, legato dalla tradizione a Sant’Ambrogio: qui il Santo Vescovo aveva sconfitto l’ultimo gruppo di ariani. In questo luogo caro alla storia della Chiesa milanese le due donne vivranno la loro consacrazione verginale al Signore. La prima fu Caterina, nativa di Pallanza, dalla nobile famiglia dei Morigi, che dopo una lunga ricerca della volontà di Dio, trovò in questo luogo la risposta. Siamo intorno al 1450. Poi nel 1454 si unì a lei Giuliana Puricelli. Nata nel 1427 a Busto-Verghera, da una povera famiglia. Giuliana visse all’ombra e alla scuola di Caterina, che la lascio progredire nella sua devozione del Padre nostro e dell’Ave Maria, sviluppando così i suoi carismi di purezza, ubbidienza, povertà, umiltà e carità, e coltivando con lei l’accorata contemplazione della passione di Cristo. Nel 1460 si aggiunsero a loro altre compagne. Dopo varie tribolazioni e incomprensioni nel 1474 papa Sisto IV con bolla autorizzo l’erezione dell’Ordine, in cui si professa la regola di Sant’Agostino, osservando le costituzioni di Sant’Ambrogio ad Nemus e ufficiando secondo la liturgia ambrosiana.
Caterina morì il 6 aprile 1478, lasciando alla piccola comunità il testamento della carità e dell’ ubbidienza alla volontà di Dio.
Giuliana, “giungendo la notte dell’Assunzione della Vergine Maria, volle essere posta sopra la nuda terra e spirò con grandi melodie il 15 agosto 1501”.
Le due romite, che ancora in vita la gente chiamava “beate”, furono venerate dal popolo fin dalla loro morte, come concordi dicono i testimoni dei due processi; e “da tempo immemorabile” al S. Monte la festa di Caterina fu solennizzata il 6 aprile e quella di Giuliana il 15 agosto.
Ai nostri tempi la liturgia ambrosiana, con il nuovo Messale del 1976, ne celebra la memoria il 27 aprile.
(Autore: Don Marco Grenci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina Morigi di Pallanza, pregate per noi.
*Sant'Eutichio - Patriarca di Costantinopoli (6 Aprile)
Theion, Frigia, 512 circa – Costantinopoli, 6 aprile 582
Martirologio Romano: A Costantinopoli, Sant’Eutichio, vescovo, che presiedette il Concilio Ecumenico Costantinopolitano II, in cui lottò con forza in difesa della retta fede e, dopo aver patito un lungo esilio, morendo professò la resurrezione della carne.
Sant’Eutichio nacque nel borgo di Theion in Frigia verso il 512, fu educato ad Augustopoli ed intraprese gli studi a Costantinopoli. Si trasferì in seguito ad Amasea, capoluogo dell’Elenoponto, ed entrò nel monastero della città.
In seguito accompagnò il vescovo a Costantinopoli e qui soggiornò presso la chiesa della Madre di Dio del quartiere di Urbicius nello Strategion. All’età di trent’anni ricevette l’ordinazione presbiterale, fece ritorno ad Amasea ove venne eletto egumeno del suo vecchio monastero, che sotto la sua guida divenne sempre più grande ed importante.
Inviato nuovamente nella capitale imperiale quale delegato del vescovo di Amasea al concilio che si apprestava a condannare i “Tre Capitoli”, trovò il patriarca Menas ormai in fin di vita ed verso la fine dell’agosto 552 l’imperatore Giustiniano designò proprio Eutichio quale nuovo patriarca.
Il 6 gennaio 553 Eutichio scrisse a Papa Vigilio per rassicurarlo circa la sua fedeltà ai quattro concili ecumenici ed alle lettere pontifice. Il 5 maggio si aprì il concilio, presieduto da Eutichio, ed i “tre Capitoli” vennero definitivamente condannati.
Un’altra questione teologica turbò però nuovamente la vita di Eutichio e dell’impero: verso la fine della sua vita Giustiniano cadde in posizioni eretiche e quando il patriarca osò opporsi lo fece arrestare il 25 gennaio 565 ed internare in diversi monasteri, per esiliarlo infine ad Amasea.
Alla morte del nuovo patriarca Giovanni III lo Scolastico, il 12 settembre 577 l’imperatore Giustino II ristabilì Eutichio ad occupare la sede patriarcale che legittimamente gli spettava. Assai popolare, il vecchio patriarca fu ben accolto a Costantinopoli e visse in pace per cinque anni, salvo una controversia teologica con il futuro papa Gregorio Magno circa la natura dei corpi resuscitati, che Eutichio in una sua opera sosteneva fossero impalpabili. Il libro fu dato alle fiamme.
Eutichio morì infine il 6 aprile 582, giorno ancora oggi dedicato alla sua memoria tanto nella Chiesa bizantina che in quella latina.
La sua Vita fu redatta dal prete Eustrato, suo discepolo e commensale, sotto l’imperatore Maurizio. Oltre alla sua lettera a Papa Vigilio, si conservano anche un suo sermone per la festa di Pasqua e sull’Eucaristia.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eutichio, pregate per noi.
*San Filarete di Calabria - Monaco (6 Aprile)
1020 - 6 aprile 1070
Emblema: Zappa
Martirologio Romano: Nel monastero di sant’Elia sul monte Aulina presso Palmi in Calabria, San Filarete, monaco, che fu molto dedito alla preghiera.
Conosciamo la Vita di san Filarete grazie ad un solo manoscritto, del 1308 (Mess. Gr 29, ff. 314); ed è già un miracolo: di quasi tutti i Santi ortodossi dell’Italia Meridionale - specie di quelli vissuti dopo l’invasione Normanna - sono "sparite", non tanto misteriosamente, Vite originarie, ufficiature, icone, reliquie, e spesso anche la stessa memoria.
La Vita è opera d’un certo Nilo, monaco nello stesso Monastero in cui Filarete praticò la sua ascesi, ma che, nonostante quanto dichiari, non sembra aver conosciuto personalmente il Santo. La "Vita" di San Filarete fu edita, in trad. latina, in "Acta Sanctorum Apr. ", t. I, pp. 606 618. Il testo greco è ancora inedito, eccettuati alcuni brani pubblicati dal Rossi-Taibbi in un excursus alla " Vita di Sant'Elia il Giovane ", pp. 189-194.
Ne scrivono anche il P. Caietano in "Vitae Sanctorum Siculorum"; il Mongitore nel "Palermo santificato"; il Fiore in "Calabria illustrata"; l’Inveges in "Palermo sacro"; Pietro Forte in "Vita dei Santi palermitani" il Perdicaro in "Vita dei Santi Siciliani".
Nacque a Palermo nel 1020, secondo altri scrittori nella regione di Demenna (Valdèmone ), dominata dalla catena montuosa dei Nebrodi, forse da genitori calabresi, originari di Sinopoli o Tauriana. Al Battesimo gli fu imposto il nome di Filippo, in onore del Santo di Agira, il "Cacciaspiriti". Crebbe in ambiente maomettano, ma mantenne viva la fede cristiana; all’età di 18 anni, quando arrivò in Sicilia l’esercito bizantino al comando di Giorgio Maniace, seguendo una ispirazione divina, si recò in Calabria a Sinopoli.
Giunto all’età di 25 anni si spostò nella Regione delle Saline, il versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria, sconfinata Tebaide ove sorgevano circa 100 monasteri: il più famoso era quello Imperiale, fondato nell’884 da S. Elia di Enna (detto il Nuovo) a cui si indirizzò Filippo.
Qui l’igumeno (abate) Oreste lo rivestì dell’abito Basiliano e lo chiamò Filarete, cioè "pescatore" e fu il suo maestro spirituale.
Si ispirò come condotta di vita a Mosè, al Profeta Elia, ad Antonio Abate e ad Elia di Enna, di cui teneva la vita manoscritta. La sua mansione era quella di portare al pascolo il gregge; poi gli venne affidato un terreno da coltivare, su cui costruì una umile dimora. Donava ai poveri i prodotti del suo lavoro, sovvenendo ai bisogni del monastero e dei numerosi poveri, cercando di esaudire tutti. Ma la vita trascorsa tra privazioni, patimenti e duro lavoro venne presto indebolita e Filerete si ammalò gravemente. Trascorse la notte in preghiera, circondato dai confratelli e morì all’alba del 6 aprile 1070, all’età di cinquant’anni.
Fu sepolto nella Chiesa del Monastero di Monte Aulinas, fondato nell’884 da Sant'Elia di Enna, poi denominato dei Santi Elia e Filarete nel 1133, presso Palmi, ove sorge una chiesetta, intitolata nel 1958 ai Santi Elia e Filarete, sui ruderi dell’antico Monastero, poi dedicata alla Madonna della Neve. É segnato nel Calendario Liturgico Bizantino al 6 Aprile come monaco italo-greco, morto nel 1060 (1170 ?). Fu iscritto nel Calendario Palermitano dal Cardinale Giannettino Doria (1608- 1642). Nel Santuario della Madonna dei Poveri di Seminara (RC), edificio fondato in età medievale, distrutto nel 1783, ricostruito nel 1785, abbattuto nel 1908, riedificato nel 1929 ed elevato a Basilica nel 1940, sul lato sinistro del presbiterio erano custoditi in una nicchia (oggi nel Museo del Santuario): braccio-reliquario argenteo quattrocentesco di S. Filareto (prob. opera di L. De Sanguini, del 1451), con mano rifatta da D. Vervare nel 1605, e con iscrizioni (pezzo proveniente dal distrutto Monastero di San Filareto, fondazione monastica basiliana del X secolo);
Testa-reliquario argentea di San Filareto, con iscrizione dedicatoria e datazione (opera di orafo messinese, datata a. 1717, proveniente anch'essa dal Monastero di S. Filareto). La città di Palermo fece istanza all’Abate Generale dell’Ordine di S. Basilio D. Pietro Menniti di concedere alla patria del Santo concittadino una Reliquia del Santo.
Questi chiese la facoltà al Sommo Pontefice Clemente XI che la concesse volentieri, "poiché sappiamo che in Palermo si venerano le Reliquie", così come attestato dallo stesso P. Abate Generale, che il 4 ottobre 1701 estrasse il Braccio di San Filarete e lo portò con sé a Palermo.
La Traslazione fu celebrata con solenni suppliche il 14 Gennaio 1703 dalla Chiesa di San Basilio alla Chiesa Cattedrale. La celebrazione fu iscritta nel Martirologio della Chiesa Palermitana nella stessa data. La festa della Traslazione delle Reliquie di San Filarete si celebrò fino al 1929; quella del Santo fino al 1958, quando è stato espunto dal Calendario Diocesano.
Nell’anno 2005 la Chiesa Ortodossa d’Italia gli ha dedicato una chiesa a Seminara (RC) ricordandolo insieme a Sant’Elia di Enna.
(Autore: Ugo Russo – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Filarete di Calabria, pregate per noi.
*Santa Galla di Roma (6 Aprile)
Martirologio Romano: A Roma, Santa Galla, che, figlia del console Simmaco, alla morte del marito attese per molti anni presso la chiesa di San Pietro alla preghiera, alle elemosine, ai digiuni e ad altre opere sante; il suo Beato transito è stato narrato dal papa San Gregorio Magno. Figlia di Q. Aurelio Memmio Simmaco, princeps senatus, per molti anni consigliere del re Teodorico, che però lo fece uccidere in Ravenna (525) per infondati sospetti di tradimento, fu data in sposa ad un giovane patrizio, di cui non si conosce il nome.
Rimasta vedova dopo un anno, quantunque stimolata dai parenti e dai medici a nuove nozze, preferí consacrarsi a Dio dapprima nell'esercizio delle opere di misericordia e poi ritirandosi in un monastero nei pressi della basilica vaticana.
Qui visse, afferma s. Gregorio, molti anni "nella semplicità del cuore, dedita all'orazione, distribuendo larghe elemosine ai poveri". La decisione della giovane suscitò in Roma una salutare impressione, la cui eco si diffuse lontano.
Dalla Sardegna, dove per la seconda volta si trovava in esilio, San Fulgenzio di Ruspe (che forse in Roma aveva avuto occasione di conoscere la famiglia della santa) le indirizzò una bellissima lettera, quasi un trattatello in ventuno capitoli, in cui la conferma nella decisione presa e le impartisce consigli ascetici.
Prima di morire la santa ebbe una visione dell'apostolo San Pietro che la invitava al cielo ed è questa la ragione per cui San Gregorio ne parla nei suoi Dialogi, al libro IV, che ha lo scopo di dimostrare l'immortalità dell'anima attraverso apparizioni o visioni avute da anime elette. Secondo la tradizione le sarebbe apparsa la Vergine mentre ella attendeva alle consuete opere di carità. Il miracoloso avvenimento è ricordato da una pregevole opera a niello del sec. XI nella chiesa di S. Maria in Portico in Campitelli.
La festa commemorativa di tale apparizione, per concessione della Congregazione dei Riti, si celebra in Roma il 17 luglio, mentre Santa Galla nel Martirologio Romano è commemorata il 5 ottobre.
Verso la metà del sec. XVII sorse in Roma, per opera di M. A. Anastasio Odescalchi, cugino del Beato Innocenzo XI, un ospizio di carità intitolato alla santa, in cui San Giovanni B. De Rossi svolse molti anni di attività e raggruppò in speciale associazione i sacerdoti dediti ad opere di apostolato tra le classi più umili. Dal 1940 alla santa è dedicata in Roma una chiesa parrocchiale.
(Autore: Battista Proja - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Galla di Roma, pregate per noi.
*San Guglielmo di Eskill - Abate (6 Aprile)
m. 1203
Martirologio Romano: Nell’isola di Eskill vicino a Roeskilde in Danimarca, San Guglielmo, abate, che, chiamato in Danimarca dal cenobio dei Canonici Regolari di Parigi, rinnovò non senza affanni e ostacoli l’osservanza della regola e lasciò la vita all’alba della domenica di Pasqua.
La sua Vita è stata scritta da un autore che si dice suo discepolo, ma sembra molto posteriore e di valore storico piuttosto dubbio.
Nato verso il 1125 a Parigi o a St-Germain presso Crépy-en-Valois, Guglielmo fu educato da un suo zio monaco di Sant'Arnolfo, poi abate di Saint-Germain-des-Prés.
A sedici anni era canonico secolare di Santa Genoveffa, dove fu vittima della gelosia dei suoi colleghi, che tentarono di sfruttare il suo amore per la solitudine e per la perfezione, spogliandolo dei suoi benefici. Egli sventò i loro intrighi fu ordinato diacono dal vescovo di Senlis, poi seguì la riforma che, nel 1148, pose dei Canonici Regolari al posto dei canonici secolari di S. Genoveffa. Preoccupato della gloria del suo Ordine, vegliò sulla regolarità dell'osservanza e combatté ogni abuso. Nel 1161 scrisse la relazione dell'inchiesta fatta dai vescovi della provincia di Parigi sulla custodia del corpo di Santa Genoveffa da parte dei Canonici.
Il fondatore di Copenhagen, Assalonne, vescovo di Roschild in Danimarca, richiese dei Canonici Regolari per introdurre la riforma nel monastero dell'isola di Eskill o Aebelhoit (Elshihoè). Guglielmo fu inviato con tre altri compagni, dapprima essi furono mal ricevuti ma poi Guglielmo trionfò sugli ostacoli posti dai canonici ostili alla riforma che venne attuata.
Nel 1175, il monastero, eretto in abbazia, fu trasferito nell'isola di Seeland e Guglielmo ne divenne l'abate facendone ben presto un centro di irradiazione spirituale.
Il nuovo monastero si dibatté nelle difficoltà materiali, aggravate dagli incendi, ma Assalonne, divenuto arcivescovo di Lund nel 1170, sostenne il suo amico Guglielmo e il monastero ritrovò la sua prosperità. Guglielmo divenne un grande personaggio della Chiesa di Danimarca e controllò praticamente tutti i monasteri del paese, anche quelli di altri Ordini, ciò che non accadde senza resistenze o insuccessi.
Francese, divenuto danese, Guglielmo prese attivamente parte ai negoziati relativi al matrimonio del re di Francia, di Filippo Augusto, con Ingelburga, sorella del re Canuto di Danimarca, che fu celebrato ad Amiens il 14 ag. 1193. Si sa che l'indomani del matrimonio il re di Francia rifiutò di considerare Ingelburga come regina e voleva ripudiarla. Avendo i vescovi di Francia annullata l'unione sotto il pretesto della parentela, Guglielmo partì per Roma nel 1194 per affidare la causa al Papa e per dimostrare l'inesistenza del vincolo di sangue; nello stesso tempo sostenne la posizione della regina.
Al suo ritorno da Roma fu inseguito dalla polizia del re di Francia e trattenuto a Digione dal duca di Borgogna. Ci volle l'intervento degli abati di Cîteaux e di Clairvaux perché egli potesse proseguire il suo cammino verso la Danimarca passando per Parigi.
Morì nella notte di Pasqua, il 6 apr. 1203, senza aver visto la riconciliazione fra il re e la regina che ebbe luogo dieci anni più tardi.
Poco dopo, l’arcivescovo di Lund e i vescovi di Oslo e di Skara, chiesero al Papa Onorio III di procedere alla canonizzazione di Guglielmo Il 12 maggio 1218 il papa concesse l'autorizzazione per le ricerche canoniche, raccomandando cautela, ma nonostante i molti miracoli il processo durò a lungo e solo il 31 gennaio 1224 fu emanata la Bolla con la quale Guglielmo era proclamato santo, mentre nel 1228 si ebbe la traslazione delle reliquie nella chiesa del monastero di Aebelholt, che era stata terminata sette anni dopo la morte del santo.
La commemorazione fu stabilita per il 16 giugno, dato che la festa di Pasqua, giorno in cui era morto, era continuamente mobile.
Guglielmo è stato per tutto il Medioevo uno dei piu venerati santi della Danimarca, specialmente del Själland e, quando venne la Riforma, non fu facile sradicarne il ricordo nel popolo.
Nel Martirologio Romano Guglielmo è ricordato il 6 aprile. Di lui si conservano più di un centinaio di lettere, pubblicate in Scripta Rerum Danicorum, preziose per le notizie che recano non solo sull’autore, ma anche sulla Chiesa di Danimarca nel sec. XII.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guglielmo di Eskill, pregate per noi.
*Beato Guglielmo di San Romano - Mercedario (6 Aprile)
XIII secolo
Questo mercedario vissuto al tempo di San Pietro Nolasco, nel 1225 accompagnò il Santo Fondatore in missione di redenzione ad Algeri dove liberò 219 schiavi.
Avendo, il Beato Guglielmo di San Romano, compassione delle pene di quei poveri prigionieri, rimase come ostaggio, predicando a tutti il vangelo del regno finché morì nella pace del Signore.
L’Ordine lo festeggia il 6 aprile.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Guglielmo di San Romano, pregate per noi.
*Sant'Ireneo di Sirmio - Vescovo e Martire (6 Aprile)
† 6 aprile 304
Martirologio Romano: A Srijem in Pannonia, nell’odierna Croazia, passione di Sant’Ireneo, vescovo e martire, che, al tempo dell’imperatore Massimiano, sotto il governatore Probo, fu dapprima frustato, poi per molti giorni torturato in carcere e infine portò a compimento il suo martirio con la decapitazione.
Il Martirologio Siriaco ed il Geronimiano lo ricordano il 6 aprile; nei sinassari bizantini ed armeni invece è commemorato il 23 agosto e nel Martirologio Romano il 25 marzo: quest'ultima data proviene dal Martirologio di Lione e si tratta certamente di una svista dell’autore che lesse nella sua fonte VIII Kal. invece di VIII idus apriles.
Di lui esiste una passio in greco e in latino, ma nessuna delle due recensioni sembra l’originale; il Tillemont stimava che la redazione latina fosse stata tratta dagli Atti del tribunale, ma recentemente il Simonetti ha cercato di provare che la primitiva passio, oggi perduta, fu scritta in greco, che le due redazioni oggi esistenti sono rifacimenti di essa, e che questa non aveva molto valore storico, perché doveva essere un semplice panegirico composto su tradizioni e pieno di luoghi comuni.
Ma, sfrondata da qualche piccola aggiunta retorica, essa rimane sempre uno scritto abbastanza attendibile, degno di considerazione e sufficientemente capace di informarci sulle ultime vicende del martire.
Ireneo era ancor giovane con moglie e figli quando, arrestato durante la persecuzione di Diocleziano, fu condotto al tribunale del prefetto della Pannonia, Probo; esortato a sacrificare si rifiutò energicamente e, persistendo nella sua decisione, fu sottoposto ai tormenti.
Durante la tortura arrivarono i suoi parenti (genitori, moglie e figli) che lo supplicarono di avere pietà di loro e della giovane vita, ma il martire meliore cupiditate detentus non si lasciò commuovere.
Li fece allora rinchiudere in carcere, dove Ireneo dovette sopportare per molti giorni pene diverse. Ricondotto al tribunale, ad un nuovo rifiuto di sacrificare, fu battuto con le verghe e infine condannato a morte.
Fu condotto perciò sul ponte della Sava, chiamato Basentis, e dopo essersi spostato delle vesti pregò per sé e per i suoi fedeli; poi fu decapitato e gettato nel fiume il 6 aprile 304.
(Autore: Agostino Amore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ireneo di Sirmio, pregate per noi.
*Beato Michele Rua - Sacerdote (6 Aprile)
Torino, 9 giugno 1837 - 6 aprile 1910
Il Beato Michele Rua è il primo successore di Don Bosco, di cui era stato a lungo segretario e poi vicario. Nato a Torino nel 1837, dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico diviene segretario del futuro santo per la zona di Valdocco. Accompagna il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e direttore spirituale. A 26 anni fonda il primo centro salesiano "esterno" a Mirabello Monferrato.
Vicario nel 1884, assume la guida della congregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire)
Nel giro di pochi anni la madre rimase sola con due figli.
Perso il papà, gli occhi di Michelino spesso si fermavano a guardare gli operai a lavoro davanti ai forni roventi in cui venivano fusi i pezzi d’artiglieria.
Era una sorta di caserma in cui il ragazzo frequentò le prime due classi d’istruzione.
Seguì la terza elementare dai Fratelli delle Scuole Cristiane, chiamati nel borgo, anni prima, dal Marchese Tancredi di Barolo per istruire i bambini del popolo.
Tra i banchi di scuola ci fu l’incontro con don Bosco che intuì, negli occhi del giovane, qualcosa di speciale. Porgendogli la mano, come era solito fare con tanti ragazzi, gli disse “Noi due faremo tutto a metà”.
Quelle parole rimasero impresse nel cuore di Michele che da quel giorno lo prese come confessore. La terza era l’ultima classe obbligatoria e quando il “santo dei giovani” gli chiese cosa avrebbe fatto l’anno successivo, lui rispose che, essendo orfano, in fabbrica avevano promesso alla madre che gli avrebbero dato un lavoro.
Per il sacerdote, anch’egli rimasto presto senza padre, convincere la donna a fargli proseguire gli studi non fu difficile e Michele entrò come convittore a Valdocco, già “popolato” da oltre cinquecento ragazzi.
Era il 1853, un anno speciale perché si celebrava il 4° centenario del Miracolo Eucaristico.
Don Bosco aveva scritto per l’occasione un libretto e un giorno, mentre camminavano insieme per le strade di Torino, scherzando, predisse al giovane che, cinquanta anni dopo, l’avrebbe fatto ristampare.
Intanto nacque nel suo cuore la vocazione sacerdotale e il 3 ottobre ricevette dal santo l'abito clericale ai Becchi di Castelnuovo. L’anno successivo morì anche l’ultimo fratello.
Il 26 gennaio 1854, don Bosco radunò nella sua camera quattro giovani compagni, dando vita, forse inconsapevolmente, alla congregazione salesiana. Alla riunione erano presenti Giovanni Cagliero e Michele Rua che fu incaricato di stenderne il “verbale”.
Amici inseparabili, furono tra i più volenterosi quando, l’anno dopo, scoppiò in città un’epidemia di colera, probabilmente portata dai reduci della guerra in Crimea.
Nei quartieri più poveri i due aiutarono generosamente i malati e Cagliero si ammalò gravemente. Il 25 marzo, nella stanza di don Bosco, Michele fece la sua “professione” semplice: era il primo salesiano.
A Valdocco sorgevano laboratori di calzoleria, di sartoria, di legatoria.
Molti ragazzi vedevano cambiare la propria esistenza: alcuni poterono studiare, altri vi si radunavano la sera dopo il lavoro, altri ancora solo la domenica.
Michele divenne il principale collaboratore del santo, nonostante la giovane età. Ne conquistò la totale fiducia, aiutandolo anche nel trascrivere le bozze dei suoi libri, sovente di notte, rubando le ore al sonno.
Di giorno si recava all’oratorio s. Luigi, dalle parti di Porta Nuova, in una zona piena di immigrati.
I più emarginati erano i ragazzi che, dalle valli, scendevano in città in cerca di lavoro come spazzacamini. Rua, facendo catechismo e insegnando le elementari nozioni scolastiche, conobbe infinite storie di miseria.
L’oratorio fu frequentato anche da s. Leonardo Murialdo e dal B. Francesco Faà di Bruno. Nel novembre 1856, quando morì Margherita Occhiena, madre di don Bosco, Michele chiamò la sua ad accudire i giovani di Valdocco.
Lo fece per venti anni, fino alla morte. Frequentare il seminario, a quei tempi, a causa delle leggi anticlericali, non era facile ma, nonostante questo il giovane lo fece con profitto e anzi, sui suoi appunti, studiarono tanti compagni. Nel febbraio 1858 don Bosco scrisse le Regole della congregazione e il “fidato segretario” passò molte notti a copiare la sua pessima grafia.
Insieme, le portarono a Roma, all’approvazione di Papa Pio IX, che, di proprio pugno, le corresse.
Michele alla sera dovette ricopiarle mentre di giorno era l’ombra del fondatore, impegnato ad accompagnarlo negli incontri con varie personalità. L’anno successivo il papa ufficializzò la congregazione salesiana.
Il 28 luglio 1860 Michele Rua venne finalmente ordinato sacerdote. Sull’altare della prima messa c’erano i fiori bianchi donati dagli spazzacamini dell’oratorio San Luigi.
Tre anni dopo fu mandato ad aprire la prima casa salesiana fuori Torino: un piccolo seminario a Mirabello Monferrato. Vi stette due anni e tornò in città mentre a Valdocco si costruiva la basilica di Maria Ausiliatrice. Don Rua divenne il riferimento di molteplici attività, rispondendo persino alle lettere indirizzate a don Bosco.
Lavorava senza soste e nel luglio 1868 sfiorò persino la morte a causa di una peritonite.
Dato per moribondo dai medici, guarì, qualcuno disse per intercessione di Don Bosco. Tra i ragazzi dell’oratorio, oltre settecento, nascevano diverse vocazioni religiose. In quell’anno si conclusero i lavori del santuario, nel 1872 si consacrarono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, nel 1875 partirono i primi missionari per l’Argentina guidati da don Cagliero.
Nacquero i cooperatori e il bollettino salesiano. Valdocco aveva raggiunto proporzioni enormi, mentre a Roma Papa Leone XIII chiedeva alla congregazione la costruzione della basilica del Sacro Cuore.
Don Bosco era spesso in viaggio per la Francia e la Spagna e don Rua gli era accanto.
Nel 1884 la salute del fondatore ormai declinava e fu il Papa stesso a suggerirgli di pensare ad un successore.
Don Rua il 7 novembre fu nominato, dal pontefice, vicario con diritto di successione.
Nel gennaio del 1888, nella notte tra il 30 e il 31, alla presenza di molti sacerdoti, accompagnò la mano del Santo, nel dare l’ultima benedizione. Rimase poi inginocchiato, davanti alla salma, per oltre due ore.
Il Beato Michele fu un missionario instancabile, fedele interprete del sistema educativo preventivo. Percorrendo centinaia di chilometri visitò le case della congregazione sparse per il mondo, coordinandole come una sola grande famiglia.
Diceva che i suoi viaggi gli avevano fatto vedere la “povertà ovunque”.
La prima grande industrializzazione fece abbandonare ai contadini le proprie terre, per un misero salario guadagnato in fabbrica dopo interminabili giornate di lavoro.
I salesiani toglievano dalla strada molti bambini, aprendo oratori e scuole che, pur nella loro semplicità, diventavano in poco tempo centri di accoglienza e istruzione.
Fu un grande innovatore in campo educativo: oltre alle scuole, in cui introdusse corsi professionali, organizzò ostelli e circoli sociali.
Tra gli altri, fece amicizia con Leone Harmel, promotore del movimento degli operai cattolici.
Come responsabile della congregazione affrontava con scrupolo le questioni amministrative che a volte lo portavano ad essere severo con i suoi collaboratori.
Spesso gli saranno tornate in mente le parole che don Bosco gli disse quando era ancora un ragazzino: “avrai molto lavoro da fare”.
Alla morte del Santo i salesiani erano settecento, in sessantaquattro case, presenti in sei nazioni, con don Rua divennero quattromila religiosi, in trecentoquarantuno case di trenta nazioni, tra cui Brasile, Messico, Ecuador, Cina, India, Egitto, Sudafrica.
L’amico d’infanzia Cagliero, divenuto cardinale, fu il primo vescovo salesiano missionario in Patagonia e nella Terra del Fuoco, e molti anni dopo gli presentò il giovane figlio di un “cachico”, Zefirino Namuncurà, oggi beato. L’altro compagno, Giovanni Francesia, divenne un latinista di fama europea. Al Beato Rua, tra molte soddisfazioni (nel 1907 don Bosco fu dichiarato venerabile, nel 1908 si terminò la chiesa romana di Maria Liberatrice), non mancarono certo prove e difficoltà.
Nel 1896 il governo anticlericale dell’Ecuador allontanò dal paese i salesiani, lo stesso accadde in Francia nel 1902. Nel 1907 in Liguria, a Varazze, si dovette rispondere per vie legali ad alcune pesanti accuse contro la congregazione.
Il piano massonico si sgonfiò e i calunniatori dovettero scappare all’estero. La salute del beato ne rimase seriamente compromessa. Sotto il peso degli anni, fu costretto a letto. Il suo aiutante, Beato Filippo Rinaldi, lo assistette fino all’ultimo.
Morì nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1910, mormorando una giaculatoria insegnatagli da don Bosco quando era un ragazzino: “Cara Madre, Vegine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia”.
Il “secondo padre della famiglia salesiana” fu sepolto a fianco del maestro. Paolo VI lo beatificò il 29 ottobre 1972, la sua tomba è ora venerata nella cripta della basilica di Maria Ausiliatrice.
La data di culto per la Chiesa Universale è il 6 aprile, mentre la Famiglia Salesiana lo ricorda il 29 ottobre, giorno della sua beatificazione.
(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Michele Rua, pregate per noi.
*Beato Notkero il Balbuziente - Monaco di San Gallo (6 Aprile)
Heligau (Zurigo), 840 c. - 912
Il suo soprannome «Balbulus» cioè balbuziente è emblematico. Il benedettino svizzero Notkero aveva la lingua che incespicava. Per questo, durante l'infanzia, venne schernito dai compagni di scuola, tra i quali, comunque, eccelleva. Nacque da una nobile famiglia nel cantone svizzero di Zurigo intorno all'840.
Terminati gli studi chiese di entrare nel monastero benedettino di San Gallo dove fu accolto con entusiasmo.
In breve divenne direttore della scuola del monastero elvetico, che sotto di lui ebbe una straordinaria fioritura. Notkero eccelleva nella musica e nella poesia.
Si narra che compose un inno ispirandosi al cigolio di una ruota di mulino (perciò è spesso ritratto assorto vicino a tale meccanismo. Autore anche di un «Martyrologium» e di opere storiche, tra cui le «Gesta di Karol Magni», morì a San Gallo il 6 aprile 912. Fu proclamato beato da Papa Giulio II nel 1513. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel monastero di San Gallo in Svevia, nel territorio dell’odierna Svizzera, Beato Notchero il Balbo, monaco, che trascorse quasi tutta la vita in questo cenobio, dedicandosi alla composizione di numerose sequenze; gracile nel corpo ma non nell’animo, balbuziente nella voce ma non nello spirito, fu profondo nelle scienze divine, paziente nelle avversità, mite verso tutti, sollecito nella preghiera, nella lettura, nella meditazione e nella scrittura.
Nonostante la ‘Vita Notkeri’, scritta probabilmente nel XIII secolo, sia evidentemente leggendaria, perché lo confonde con altri monaci dello stesso nome, le notizie, la figura e le opere letterarie del Beato Notkero sono ben conosciute, tramite altre fonti veritiere, documenti e manoscritti suoi, che si conservano tuttora nella biblioteca dell’antico monastero di San Gallo.
Notkero nacque nell’840 a Heligan (Zurigo); da ragazzo era schernito dai compagni di scuola, a causa di un difetto della parola o per la mancanza di un dente, egli stesso da grande, si applicò il soprannome ‘Balbulus’ (balbuziente).
Eccellente studente, entrò in età giovanile nella celebre abbazia benedettina di San Gallo, fondata dal monaco irlandese San Gallo († 646), intorno alla quale sorse poi l’omonima città, capoluogo del Cantone svizzero di San Gallo.
Diventò monaco e sacerdote esemplare, eccellente poeta, musico e maestro; ma anche modello di modestia; fu direttore della celebre scuola letteraria ed artistica, che dal X al XIII secolo, rese importantissima l’abbazia di San Gallo.
Fu denominato dai suoi contemporanei “vaso dello Spirito Santo”, e la moderna storia della letteratura, lo ricorda come Notkero "il poeta".
Con l’ausilio dei confratelli Ratperto e Tuotilo, diede all’abbazia gloria scientifica, artistica e liturgica, preparando i suoi discepoli ai più alti compiti nella Chiesa e nello Stato, come per esempio Salomone, che divenne vescovo di Costanza e Waldo che fu vescovo di Frisinga e tutti e due poi cappellani reali.
Scrisse la sua opera fondamentale le “Sequenze liturgiche” (una quarantina), riunite nel ‘Liber Hymnorum’ da lui dedicato nell’884 al vescovo Liudvaldo di Vercelli e composte per la Messa solenne delle più importanti feste liturgiche dell’anno; molte di queste ‘Sequenze’ furono cantate in tutta Europa fino al XVI secolo; musico valente, si narra che compose un inno, ispirandosi al cigolio di una ruota di mulino (perciò è spesso raffigurato assorto vicino a tale meccanismo).
Notkero fu anche autore di un ‘Martyrologium’, di opere storiche (specie le ‘Gesta di Karoli Magni’) e poesie occasionali, nelle quali poté esprimere il suo gioviale carattere.
Morì a San Gallo il 6 aprile 912 e fu venerato nel suo monastero come compatrono, durante tutto il Medioevo. Nel XVI secolo Papa Giulio II incaricò il vescovo Ugo di Costanza, di espletare il processo sui miracoli del monaco poeta e lo proclamò Beato nel 1513.
Scomparsa l’abbazia nel 1805, la diocesi di San Gallo elevò il Beato Notkero a suo patrono secondario, celebrandone la festa il 6 aprile; a San Gallo però dal 1963 si celebra il 7 maggio, data della traslazione delle reliquie nella Cattedrale, avvenuta nel 1537; ad ogni modo il Martirologio Romano lo riporta comunque il 6 aprile.
Nell’iconografia sacra, il Beato Notkero il Balbuziente è rappresentato con un bastone spezzato in mano, perché si narra che colpì il demonio, apparsagli sotto forma di cane feroce, col bastone di San Colombano.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Notkero il Balbuziente, pregate per noi.
*San Paolo Le Bao Tinh - Sacerdote e Martire (6 Aprile)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
“Santi Andrea Dung Lac e Pietro Truong Van Thi - Sacerdoti e martiri”
“Santi Martiri Vietnamiti” (Andrea Dung Lac e 116 compagni)
Trịnh Hà, Vietnam, 1793 circa - Bay Mau, Vietnam, 6 aprile 1857
Martirologio Romano: Nella città di Vĩn Trị nel Tonchino, ora Viet Nam, San Paolo Lê Bảo Tịnh, sacerdote e martire, che, ancora chierico, fu tenuto a lungo in prigione per la sua fede e, diventato sacerdote, fu rettore del Seminario; scrisse un libro di omelie e un compendio di dottrina cristiana e, portato infine di nuovo in giudizio, fu condannato a morte sotto l’imperatore Tự Đức.
Paolo Le-Bao-Tinh nacque verso il 1793 presso Trinh Hà, nella provincia vietnamita di Thanh Hoá, ed appena quindicenne entrò nel seminario di Vinh-tri, ove si ritrovò in un clima di fervido misticismo ed intraprese i suoi studi con ottimo profitto. Si ritirò poi volontariamente ed all’insaputa di tutti in una località solitaria solitaria per darsi alla vita eremitica. Dopo qualche tempo dovette tuttavia tornare in seminario per completare gli studi teologici e ricevere la tonsura.
Nel 1837 il vescovo Mons. Havard inviò Paolo Le-Bao-Tinh a svolgere attività missionaria nell’inesplorata regione del Laos, ancora popolata da tribù selvagge, ma scoppiò nel frattempo la persecuzione anticristiana ed egli venne arrestato nel 1841, mentre era di ritorno da Macao, ove aveva accompagnato il nuovo missionario Taillandier.
Rinchiuso nelle prigioni di Hanoi, fu sottoposto a ripetuti ed estenuanti interrogatori, torturato crudelmente ed infine condannato allo strangolamento. L’esecuzione venne tuttavia sempre procastinata e dopo parecchi anni di carcere la pena di morte gli venne commutata nell’esilio, in seguito al regio decreto di Thien-tri, che scontò nella provincia di Binh-dinh sino al 1848, quando il nuovo sovrano Tu-duc in occasione della sua ascesa al trono concesse l’amnistia generale.
Rientrato dall’esilio, Paolo Le-Bao-Tinh fu accolto dalla comunità di Vinh-try in festa ed il vescovo Pietro Andrea Retord gli conferì l’ordinazione presbiterale e lo nominò rettore del seminario locale, ove fu anche insegnante di latino. In questo periodo compose anche un libro di “Omelie” ad uso del clero locale, un “Compendio della dottrina cristiana” per i catechisti, nonché altri scritti religiosi.
Nel 1857 ricevette varie denunce e fu allora nuovamente arrestato, processato a condannato alla decapitazione. L’esecuzione avvenne il 6 aprile 1857 presso Bay Mau.
Il pontefice San Pio X beatificò il martire Paolo Le-Bao-Tinh il 2 maggio 1909 ed infine Giovanni Paolo II lo canonizzò il 6 maggio 1984.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paolo Le Bao Tinh, pregate per noi.
*Beata Pierina Morosini - Vergine e Martire (6 Aprile)
Albino (Bergamo), 7 gennaio 1931 - Bergamo, 6 aprile 1957
Etimologia: Pierina = accorciativo e dimin. di Pietro
Emblema: Giglio, Palma
Martirologio Romano: Nella cittadina di Fiobbio di Albino vicino a Bergamo, Beata Pierina Morosini, vergine e martire, che, a ventisei anni, mentre faceva ritorno a casa dalla fabbrica in cui lavorava, morì ferita a morte al capo nel tentativo di difendere dall’aggressione di un giovane la propria verginità consacrata a Dio.
Narrare la morte della Beata Pierina Morosini, sembra di scrivere e leggere una notizia di cronaca nera così frequente nel mondo di oggi.
Uno stupro, violento e brutale, tanto più non riuscito, che scatena l’ira del bruto che uccide a colpi di pietra la vittima predestinata e ribelle.
É la fine che è toccata alla Beata, ma sarebbe come già detto solo un fatto di cronaca nera, se non si collocasse come coronamento di una vita tutta dedicata all’apostolato nelle file dell’Azione Cattolica, così diffusa e sentita in quel periodo.
Nacque a Fiobbio nel Comune di Albino (Bergamo) il 7 gennaio 1931, prima di nove figli da Rocco Morosini e Sara Noris umili contadini, ricevé la Prima Comunione e Cresima nella sua frazione e nel suo Comune.
Terminate le scuole elementari si iscrisse alla scuola di cucito e taglio ma poi fu assunta come operaia tessile nello stabilimento Honegger di Albino e con il suo salario manteneva la numerosa famiglia, dato che il padre era ormai invalido al lavoro.
Iscritta alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica, partecipò alla cerimonia di beatificazione di Maria Goretti a Roma il 27 aprile 1947, fu l’unico viaggio effettuato fuori dalla sua Provincia nella sua vita.
Fu zelatrice delle opere missionarie e del seminario.
Ogni mattina prima di andare al lavoro riceveva la S. Comunione e sia all’andata che al ritorno recitava lungo la strada il Santo Rosario.
E recitando il rosario, ritornando dal lavoro il 4 aprile 1957, lungo i sentieri solitari del Monte Misma, s’imbatté nel suo carnefice, morì due giorni dopo in ospedale senza riprendere conoscenza, trasportata dai familiari che l’avevano, dopo ricerche, ritrovata in un lago di sangue.
Dagli stessi sanitari fu riconosciuta come una nuova Maria Goretti; la sua tomba divenne meta di pellegrinaggi specie dell’Azione Cattolica.
Il vescovo di Bergamo, Clemente Gaddi, il 6 gennaio 1976 avviava l’iter per la causa di beatificazione; il 10 aprile 1983 la salma venne traslata dal cimitero di Fiobbio alla chiesa parrocchiale e posta in un sarcofago di marmo bianco. È stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1987.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Pierina Morosini, pregate per noi.
*San Pietro da Verona o Pietro Martire - Sacerdote Domenicano (6 Aprile)
Verona, sec. XII
Nato da genitori eretici manichei, l’innata rettitudine del cuore gli fece intuire subito da che parte si trovasse la verità. A sette anni imparò alle scuole dei cattolici il Credo, che per lui non sarà una formula qualunque, ma un principio di vita e una luce che rischiarerà per sempre il suo cammino.
Entrato nell’Ordine, anelante le sante lotte per la fede, nei lunghi anni di preparazione al futuro apostolato, mise le basi di quella robusta santità che fece davvero di lui un atleta di Gesù Cristo.
Un giorno confidò a un confratello che da quando era sacerdote, celebrando la S. Messa, alla elevazione del calice aveva sempre chiesto al Signore la grazia di morire martire, tale era l’ardore della sua fede e della sua carità.
Nominato nel 1242 Inquisitore Generale per la Lombardia, combatté senza posa gli eretici con la spada della divina parola, finché fu ucciso per loro mano, come egli aveva predetto, sulla strada da Como a Milano.
Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino
Emblema: Pugnale, Ferita al capo, Palma
Martirologio Romano: Presso Milano, passione di San Pietro da Verona, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che, nato da genitori seguaci del manicheismo, abbracciò ancor fanciullo la fede cattolica e divenuto adolescente ricevette l’abito dallo stesso San Domenico; con ogni mezzo si impegnò nel debellare le eresie, finché fu ucciso dai suoi nemici lungo la strada per Como, proclamando fino all’ultimo respiro il simbolo della fede.
Nacque a Verona alla fine del sec. XII in una famiglia eretica, ma già ragazzino si oppose ai suoi parenti.
Continuò gli studi all’Università di Bologna dove poi entrò nell’Ordine Domenicano, quando s. Domenico era ancora in vita. Notizie storiche lo citano come grande partecipe nella fondazione delle Società della Fede e delle Confraternite Mariane a Milano, Firenze ed a Perugia; queste istituzioni a difesa della dottrina cristiana sorsero poi presso molti conventi domenicani; questo fra il 1232 e 1234.
Dal 1236 lo si incontra in tutte le città centro-settentrionali d’Italia come grande predicatore contro l’eresia dualistica, ma Milano fu il campo principale del suo apostolato, le sue prediche e le sue pubbliche dispute con gli eretici, erano accompagnate da miracoli e profezie così molti ritornavano alla vera fede del Vangelo.
Il Papa Innocenzo IV nel 1251 lo nominò inquisitore per le città di Milano e Como.
La lotta fu dura perché l’eresia era molto diffusa e nella domenica delle Palme 24 marzo 1252 durante una predica egli predisse la sua morte per mano degli eretici che tramavano contro di lui, assicurando i fedeli che li avrebbe combattuto più da morto che da vivo. I capi delle sette delle città di Milano, Bergamo, Lodi e Pavia, che per brevità non riportiamo i nomi, assunsero come esecutori, i killer di allora, Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro di Lentate.
Essi prepararono un agguato vicino a Meda dove Pietro, Domenico e altri due domenicani, nel loro tragitto da Como a Milano il 6 aprile 1252 si erano fermati a colazione prima di proseguire per la loro strada.
Albertino ricredendosi abbandonò l’opera e fu il solo Carino che con un "falcastro", tipo di falce, spaccò la testa di Pietro, immergendogli anche un lungo coltello nel petto, l’altro confratello Domenico ebbe parecchie ferite mortali che lo portarono alla morte sei giorni dopo nel convento delle Benedettine di Meda.
Il corpo di Pietro fu trasportato subito a Milano dove ebbe esequie trionfali e fu sepolto nel cimitero dei Martiri, vicino al convento di S. Eustorgio.
In quello stesso giorno si diffondevano notizie di miracoli.
Tra queste grazie, bisogna annoverare la conversione del vescovo eretico Daniele da Giussano che aveva macchinato la sua morte e dello stesso assassino Carino che entrarono poi nell’Ordine Domenicano. Il grande clamore suscitato dall’uccisione ed i tanti prodigi che avvenivano fecero si che da tutte le parti si chiedesse un’innalzamento agli altari del martire.
Undici mesi dopo, il Papa Innocenzo IV il 9 marzo 1253, nella piazza della chiesa domenicana di Perugia, lo canonizzò fissando la data della festa al 29 aprile.
Il suo culto ebbe grande espansione, i domenicani eressero chiese e cappelle a lui dedicate in tutto il mondo, le Confraternite ebbero in ciò un’importanza notevole.
Artisti furono chiamati a realizzare opere d’arte, come il monumento marmoreo del 1339 del pisano Giovanni Balduccio a Milano e la grandiosa chiesa di Verona detta di Santa Anastasia.
Parecchie città italiane lo elessero a loro protettore come Verona, Vicenza, Cremona, Como, Piacenza, Cesena, Spoleto, Rieti, Recanati.
É raffigurato con la tonaca domenicana, con la palma del martirio, con la ferita sanguinante dalla fronte al capo, oppure con una roncola che penetra nel cranio, con il pugnale infitto al petto o ai fianchi, secondo l’estro dell’artista.
É uno dei Santi più raffigurati, quasi tutti gli artisti si cimentarono a dipingerlo dal 1253 in poi, visto la grande diffusione che aveva l’Ordine Domenicano sia in chiese, che conventi, congregazioni, ecc. La sua data di culto è il 6 aprile, mentre l'Ordine Domenicano lo ricorda il 4 giugno.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro da Verona, pregate per noi.
I menei bizantini annunciano al 6 aprile la memoria di Platonide senza però fornire su di lei alcuna notizia, né fornisce la minima informazione il distico eroico in suo onore.
Dopo questo annuncio gli stessi menei aggiungono quello di due martiri anonimi di Ascalona, in Palestina, il cui distico dice soltanto che morirono dopo essere stati sepolti fino alle anche.
Si sa, d'altro canto, che due giorni prima, il 4 aprile, i sinassari bizantini commemorano Platone, egumeno del monastero di Studion, ed alcuni menei (Mc, v. Synax. Constantinopoli, coll. 585-86) a questo stesso giorno annunciano «Platone e due altri in pace», mentre abitualmente sono tre e non due i Santi menzionati dopo Platone con la formula «in pace», cioè Theonas, Simeone e Fervino. C. Baronio, sotto l'influenza di un annuncio del tipo di Mc, che trovò nel cosiddetto Menologio del card. Sirleto, introdusse al 6 aprile, con un elogio unico, Platonide (scritto correttamente Platonidis [e non Platonis], ma presentato come uomo, come nel menologio citato) e gli anonimi di Ascalona, facendone tre compagni martiri di questa città.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Platonide, pregate per noi.
*San Prudenzio di Troyes - Vescovo (6 Aprile)
m. 861
Martirologio Romano:
Nello stesso luogo, San Prudenzio, vescovo, che compilò un compendio del Salterio per chi si metteva in viaggio, raccolse i precetti delle Sacre Scritture per i candidati al sacerdozio e rinnovò la disciplina monastica.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Prudenzio di Troyes, pregate per noi.
*San Vinebaldo - Abate (6 Aprile)
m. 620 circa
Martirologio Romano: A Troyes nel territorio della Neustria, in Francia, San Vinebaldo, abate del monastero di Saint-Loup, insigne per austerità di vita.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vinebaldo, pregate per noi.
*Beato Zefirino Agostini - Sacerdote e Fondatore (6 Aprile)
Verona, 24 settembre 1813 - Verona, 6 aprile 1896
Il Beato Zefirino Agostini nasce a Verona il 24 settembre 1813. A 18 anni entra in seminario. Viene ordinato sacerdote nel 1837 e trascorre i primi otto anni di sacerdozio nella parrocchia natia. Nel 1845 diventa parroco nella parrocchia dei Santi Nazario e Celso.
Da subito intuisce l'importanza delle associazioni laicali e nel 1856 promuove il sodalizio delle «Sorelle devote di Sant'Angela», perché lo coadiuvasse nell'educazione della gioventù femminile. Dal 1860 alcune di queste collaboratrici cominciarono a fare vita comune.
Nove anni più tardi Agostini volle dare a quest'opera un profilo più preciso, ispirandosi alla spiritualità di Sant'Angela Merici.
Nasceva così la congregazione delle «Orsoline di Maria Immacolata». Muore il 6 aprile 1896 a Verona. È stato beatificato il 25 ottobre 1998. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Verona, Beato Zefirino Agostini, sacerdote, che si dedicò al ministero della predicazione, alla catechesi e alla formazione cristiana e con ogni mezzo si prese cura dei giovani, dei poveri e dei malati, fondando per il loro bene anche la Congregazione delle Orsoline Figlie di Maria Immacolata.
La cattolica Verona, fucina per tutto l’Ottocento di Santi, Beati, venerabili e servi di Dio, quasi tutti fondatori di Istituti religiosi, assistenziali e di formazione; annovera ancora un altro degno figlio, il Beato Zefirino Agostini, che nacque a Verona il 24 settembre 1813.
Rimasto orfano di padre quando non aveva ancora un anno, fu allevato dalla sola madre Angela Frattini insieme agli altri fratelli.
Passò l’infanzia e la fanciullezza presso i nonni paterni a Terrossa (VR), dove imparò a leggere e scrivere; poi frequentò le scuole presso il ginnasio municipale di Verona; a 18 anni dando seguito alla sua vocazione per il sacerdozio, entrò nel Seminario vescovile della diocesi, per proseguire negli studi, avendo come insegnante anche il servo di Dio Nicola Mazza (1790-1865).
Fu ordinato sacerdote l’11 marzo 1837 da mons. Giuseppe Grasser, vescovo di Verona; trascorse i primi otto anni di sacerdozio nella parrocchia natia, dal 1837 al 1845, dedicandosi con zelo all’istruzione del catechismo e all’assistenza dei giovani dell’oratorio.
Nel contempo lavorava anche in Curia con diligenza e precisione, come stretto collaboratore dei vescovi Grasser e Mutti. Il 29 giugno 1845 prese possesso della parrocchia dei SS. Nazario e Celso, da parecchi anni priva di parroco e lì rimase fino alla morte.
Tutti i campi della pastorale parrocchiale, furono curati con zelo, in particolare la predicazione, la catechesi, i sacramenti della confessione e dell’Eucaristia; aveva il dono del consiglio giusto e della prudenza. Con intuito pastorale promosse le associazioni laicali dedite alla formazione spirituale e all’apostolato: come gli Oratori per la gioventù, la Confraternita della Dottrina Cristiana e del SS. Sacramento, la Pia Associazione delle Madri Cristiane, il Comitato Parrocchiale e nel 1856 il Sodalizio delle “Sorelle Devote di S. Angela”, perché lo coadiuvasse nell’educazione della gioventù femminile.
Dal 1860 alcune di queste collaboratrici cominciarono a fare vita comune, ma il parroco Agostini non era ancora convinto di una nuova Istituzione; contattò per lo scopo le Suore di Maria Bambina e le Figlie della Carità Canossiane. Solo dal 1869 maturò il convincimento di dover sostenere quest’opera e darle una fisionomia che egli prese dal pensiero di Sant’Angela Merici; infatti in quell’anno don Zefirino Agostini ebbe l’incarico dal vescovo Luigi di Canossa, futuro cardinale, di ricostruire in diocesi la Compagnia di S. Orsola, a cui lui conformò anche il piccolo gruppo che aveva iniziato la vita in comune e che poi si sviluppò come Congregazione delle “Orsoline di Maria Immacolata”, di cui elaborò la Regola; fu riconosciuto come fondatore e padre spirituale della nascente Istituzione e direttore generale delle Orsoline della diocesi.
Si delinearono così fin dall’inizio, le due distinte vie, in cui camminavano per lo stesso scopo, le discepole dell’Agostini: le interne con vita in comune, le esterne viventi nelle rispettive famiglie.
Nonostante questi grandi impegni, non trascurò mai l’opera del parroco pastore di anime e anche i fedeli non scissero mai la figura del parroco da quella del fondatore, infatti quando nominavano le Orsoline, le chiamavano: “le suore dell’arciprete”; quando compì 50 anni di ministero parrocchiale, ricevé gli elogi pubblici del vescovo e dei suoi superiori, che ebbero tutti parole di stima per lui e per la fama di santità, che egli godette in vita presso i contemporanei.
Fu chiamato anche a predicare esercizi spirituali a seminaristi, a ordinandi, e a sacerdoti, come apprezzato maestro e guida nella vita spirituale. Per tutto questo il beato Zefirino Agostini, sacerdote per vocazione, parroco per missione, fondatore per provvidenziale occasione, offre un esempio ammirevole di vita sacerdotale e di apostolato parrocchiale, di servizio della parola di Dio e di opera di formazione alla vita cristiana.
Le suore Orsoline per la loro specifica missione, sono abilitate ad aiutare le giovani a superare le difficoltà che si oppongono alla crescita umana e cristiana e dovunque esse arrivano, appena è possibile, sorge una scuola, quale mezzo efficace per evangelizzare ed elevare la qualità della vita dei giovani e quindi della comunità.
Il fondatore Agostini aggiunge all’intuizione di Sant’Angela Merici, il valore comunitario della testimonianza e della missione compiuta insieme, dice: ”Ciascuna di voi, sposa di Gesù Cristo, ha per compagne altre spose di Cristo e perciò dovete stimarvi ed amarvi come sorelle… la carità fraterna deve essere il vincolo che vi unisce e il segnale che vi distingue”. Don Zefirino morì il 6 aprile 1896 a Verona e la sua salma riposa nella cappella della casa-madre delle Orsoline Figlie di Maria Immacolata. È stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1998.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Zefirino Agostini, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (06 Aprile)
*San Celestino, Papa
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.